Che cos’è il Narcisismo
Il termine
Narcisismo indica una condizione sia culturale che psicologica.
Nel linguaggio
comune siamo abituati ad associarlo a vanità, esibizione, megalomania, ma anche a nevrosi e comportamenti patologici. Siamo fuori strada: il Narcisismo è una dimensione fondamentale e normale
dell’attività psichica, che ci riguarda tutti e in ogni fase della vita. Parafrasando Kohut potremmo definirlo “necessario quando è sano, accecante quando cancella gli altri”.
Ma andiamo per gradi.
Il mito
Il termine,
come ormai tutti sappiamo, nasce dal mito di Narciso, arrivato a noi grazie a Ovidio e alla descrizione che ne fa nelle Metamorfosi. La caratteristica che più mi ha incuriosito leggendo
per intero il mito, è che la storia popolare che spesso si sente raccontare, è in realtà solo una piccola parte dell’intero mito. Ho letto il mito completo perché la mia curiosità era: ma perché
Narciso era così innamorato di se stesso? Ed ho scoperto che egli era innanzitutto una vittima dell’invidia.
L’invidia di Tiresia, il veggente cieco (accecato dall’ira di Giunone, poiché da lui contraddetta in una disputa con Giove), che quando viene interpellato da Liriope, la madre di Narciso, per
sapere se il neonato, che tutti descrivono come bellissimo, vivrà fino a diventare vecchio, lancia la profezia-maledizione di un invidioso: “Si se non noverit”. Frase che si può tradurre sia con
“se non conoscerà se stesso” sia con “se non guarderà se stesso”. Ed è proprio da questa frase che Ovidio svolge la storia di Narciso.
Passano gli
anni e Narciso resta sempre bellissimo, ma anche superbo. Un tipo che non si lascia toccare né dalle ragazze né dai ragazzi che gli corrono dietro continuamente. Sennonché un giorno, mentre va a
caccia, viene visto da una splendida ninfa, Eco, che si innamora perdutamente di lui. E qui ritorna in ballo Giunone, che a causa della sua gelosia per Giove, infliggeva pene a destra e a manca.
Eco infatti era stata punita da Giunone poiché era la ninfa addetta a distrarla, con le chiacchiere, mentre Giove se la spassava con le altre ninfe. La punizione di Giunone, scoperto l’inganno,
era stata quindi esemplare: Eco non poteva più parlare, se non per ripetere la fine delle parole che udiva da altri.
Ecco dunque i personaggi principali del complesso mito: Eco che non può tacere se qualcuno parla, però deve sempre parlare tramite le parole altrui e non può prendere l’iniziativa. E Narciso, che
concretamente vede ma non deve vedersi, ma metaforicamente non vede gli altri e vede solo se stesso.
Il gioco tragico è tutto sul “chi parla a chi” e “chi vede chi”.
Quando allora Eco incontra Narciso che sta cacciando, non potendo parlargli, inizia a fare dei rumori per attirare la sua attenzione, e Narciso parla “Chi c’è qui?” ed Eco risponde “Qui”, allora
Narciso grida “Vieni” ed Eco di rimando “Vieni”. Il dialogo prosegue finchè, giocando sul senso delle parole, Ovidio fa cadere il velo “Huc coeamus”, “Troviamoci qui” grida Narciso, ma “coeamus”
vale anche per “uniamoci” ed Eco risponde appunto “coeamus”, uniamoci, contentissima di aver avuto la possibilità di esprimere il proprio desiderio. Esce dal bosco e butta le braccia al collo di
Narciso, il quale, nel suo stile, grida “Crepo piuttosto che stare con te!”. Ma Eco può solo ribattere, ovviamente, “stare con te” e prova grande vergogna e un dolore (le pene per l’amore) che la
fa smagrire fino a morire. Da allora di lei ci è rimasta solo la voce, poiché la condanna di Giunone resta valida anche quando Eco muore: un decreto divino non può essere cancellato.
Narciso invece, continua a fare strage di cuori e a negarsi a tutti, tanto che uno dei delusi gli augura che capiti anche a lui di amare senza mai possedere l’amato. Preghiera raccolta dagli dei,
che erano molto attenti alla regola della reciprocità in amore (essa implica che chi offre amore deve ricevere amore, e che un amante deluso può maledire l’amato che non ricambia il suo amore e
che gli dei sostengano e realizzino questa maledizione, perché è stata infranta una legge generale).
Un giorno Narciso, stanco, si stende a riposare vicino a una sorgente e vede con la coda dell’occhio riflessa nell’acqua la sua stessa immagine bellissima, e crede si tratti di un altro del quale
si innamora, ma che inutilmente cerca di abbracciare. Specchiandosi ha l’impressione che l’altro gli si avvicini quando lui si avvicina alla superficie dello specchio d’acqua, lo vede tendere le
braccia quando lui gliele tende, lo vede piangere quando lui piange. Fino alla rivelazione “Iste ego sum” che si potrebbe liberamente tradurre con “Accidenti, ma questo sono io!”, rivelazione che
però non spegne la fiamma dell’amore, ma la rende terribile perché condannata all’insoddisfazione. Disperato Narciso si straccia la tunica, si lacera il petto e insanguina la sorgente. La povera
Eco, che pur era arrabbiata e offesa per il rifiuto di Narciso, prova un grande dolore a vederlo in queste condizioni e ad ogni grido di lui ripete l’”Ahi”, facendo risuonare il bosco. Narciso,
avviandosi alla morte per sfinimento, guarda ancora nella fonte dicendo “Tutto è inutile, fanciullo diletto!” ed Eco ripete straziata “Fanciullo diletto!”. E quando Narciso reclina il capo e
saluta la sua immagine con un “Ciao” prima di morire, “ciao” ripete ancora Eco in preda al dolore. Ma quando le Driadi (le ninfe delle querce) si accingono a preparare il rogo per bruciare
il cadavere di Narciso, non lo trovano più: al suo posto (è qui la metamorfosi) è cresciuto e sbocciato un fiore rosso-arancione circondato da una bianca corolla, che da allora si chiamò appunto
Narciso. (Semi, 2007).
Dal Mito alla Psicologia
E’
significativo che Narciso si innamori della sua immagine soltanto dopo aver respinto l’amore di Eco. L’innamorarsi della propria immagine (diventare cioè narcisisti) è interpretato nel mito come
una forma di punizione per l’incapacità di amare (o rispettare la regola della reciprocità). Esaminando più attentamente il mito, Eco potrebbe essere vista come la nostra stessa voce che riviene
a noi. Così, se Narciso avesse potuto dire “ti amo”, Eco avrebbe ripetuto queste parole e il giovane si sarebbe sentito amato. L’incapacità di dire queste parole identifica il narcisista.
Di solito si
pensa al Narcisismo come a un eccessivo amore di sé, accompagnato da una corrispondente mancanza di interesse e sentimenti verso gli altri. Il Narcisista ha fama di essere un egoista e un avido
il cui atteggiamento è “io per primo” e in molti casi “soltanto io”. Ma questa descrizione è corretta solo in parte. I narcisisti dimostrano è vero mancanza di interesse per gli altri, ma sono
altrettanto indifferenti anche ai propri più veri bisogni. Spesso il loro comportamento è autodistruttivo. Infatti i Narcisisti amano la propria immagine e non il sé reale. Hanno un senso di sé
debole, e non è in base ad esso che orientano le proprie azioni. Ciò che fanno è diretto a incrementare l’immagine, spesso a scapito del sé. (Lowen, 1983).
Quattrini
definisce il Narcisismo come una speciale categoria di bisogni, i quali invece di indurre un movimento in direzione del mondo, tendono a far si che le varie parti della persona si coordinino in
modo da formare un insieme soddisfacente, una forma cioè che la persona stessa apprezzi. I bisogni narcisistici consistono nella spinta a realizzare al limite una forma ottimale di sé, un sé
perfetto, immutabile. Questi bisogni cominciano con la distinzione fra sé e il mondo: appena nato il bambino sembra non percepisca questa differenza , da principio gli interessa tutto e con tutta
probabilità è solo attraverso il dolore che comincia a dividere in categorie (bello/brutto, buono/cattivo, me/non me). Il mondo appare da una parte frustrante, e dall’altra pieno di meraviglie:
si struttura così quel ponte fra interno ed esterno che si chiama desiderio, e il bambino prede a desiderare il mondo. Finché non differenzia tra sé e il mondo il bambino vive probabilmente come
tutto perfetto. Quando però si stacca dalla simbiosi con la madre e questa unità primaria narcisisticamente perfetta si scinde, si può immaginare che si profilino sostanzialmente due possibilità
principali: il bambino investe sulla madre, e allora la idealizza e l’adora (Imago Parentale Idealizzata), o investe su di sé e allora tende a considerare il mondo in secondo piano rispetto ai
suoi bisogni (Sé Grandioso). Queste due possibilità sono comunque l’una l’ombra dell’altra, cioè chi ha l’una in figura ha l’altra sullo sfondo, e tutte e due le eventualità sono un normale
precursore infantile di una personalità adulta che devono quindi ridimensionarsi col tempo.
Da queste due possibilità possono emergere due diverse modalità di essere in difficoltà col mondo: le persone che da adulte continuano ad investire solo su di sé tendono spesso a non valorizzare
gli altri abbastanza da avere la pazienza di costruirci qualcosa insieme, mentre quelle che continuano a idealizzare perdono facilmente la fiducia di poter avere dagli altri risposte
soddisfacenti ai loro bisogni.
Lo sviluppo “normale” dovrebbe avvenire tramite un’integrazione tra gli investimenti oggettuali (cioè la capacità di essere interessati proprio agli oggetti dei desideri) e quelli narcisistici
(cioè l’essere interessati all’immagine di sé che soddisfa il desiderio), quando cioè la vernice di piacere che riveste gli oggetti desiderati si estende anche agli impulsi che portano a
raggiungerli, tanto da permettere all’individuo di piacersi mentre li vive.
Un esempio di forte integrazione fra investimenti oggettuali e narcisistici lo danno i popoli primitivi, che generalmente sono dotati di una particolare sensualità nel movimento: anche in un
lavoro pesante come tirare le reti o prendere l’acqua da un pozzo riescono a trovare un motivo di piacere, che in definitiva è il piacere di avere un corpo ed usarlo. Invece un tipico sintomo
nevrotico delle civiltà avanzate è la divisione tra lavoro e divertimento: in genere non si investe narcisisticamente sul proprio lavoro, che finisce quindi per non piacere, mentre l’investimento
narcisistico è messo per esempio sulle attività sportive. Una persona con un sé sufficientemente integrato è in grado di trovare piacere anche nelle attività dichiaratamente lavorative,
naturalmente entro una gamma normale di lavori, non compresi quelli nocivi o in qualche modo alienanti.
L’integrazione di questi investimenti può avvenire tramite un rispecchiamento positivo del desiderio, desiderio di avere o desiderio di essere come la persona ammirata. Il normale sviluppo del
bambino passa attraverso un’idealizzazione dei genitori, fino ad avvicinarsi a loro e scoprire i loro limiti, senza però svestirli del valore attribuitogli, per poi trasferire quel valore su se
stessi. Alla fine di questo processo chiunque è in grado di apprezzarsi, indipendentemente da considerazioni oggettive. (Quattrini, 1986).
Una certa quota di
Narcisismo è normale e necessaria a qualunque individuo. Si può affermare che il Narcisismo sano si colloca in una posizione intermedia lungo un continuum tra due estremi patologici: da una parte
un narcisismo eccessivo, caratterizzato da un sé grandioso, sentimenti di superiorità, arroganza e senso di onnipotenza, dall’altra parte troviamo invece un deficit narcisistico che comporta
sentimenti di inferiorità, impotenza e scarsa stima di sé. Quindi un Narcisismo sano si troverebbe al centro di questa linea immaginaria, ai cui estremi si collocano due distinti disturbi del
narcisismo dove entrambi sottendono comunque un sé fragile.
Un Narcisismo sano, secondo l’accezione di Kohut, è fondamentale in quanto nel suo essere l’espressione di un “amore verso il
proprio sé”, sta alla base dell’autostima necessaria a qualsiasi personalità sufficientemente armonica ed equilibrata. Egli infatti considera il Narcisismo come un insieme integrale e delimitato
di funzioni psichiche da sviluppare ed evolvere, piuttosto che un prodotto regressivo da eliminare.
- Virginia Lanna, "Il
Narcisismo del Terapeuta", Tesi di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt (2014) -
Gli effetti psicosomatici del lutto
UK.
"Morire d'amore": l'idea romantica trova fondamento scientifico nei laboratori dell'Università di Birmingham.
"Uniti nella vita e nella morte. Moglie e marito si spengono a poche ore di distanza".
«Tutti
conosciamo storie di qualche anziano che muore e l'altro coniuge, perfettamente sano, se ne va poco dopo. Con lo stress da lutto (...) può succedere che se l'anziano vive un trauma (come una
caduta o una broncopolmonite) diventi più sensibile a nuove infezioni».
A spiegarlo, la ricercatrice in Medicina comportamentale Anna
C. Phillips,
coautrice dello studio condotto all'Università di Birmingham e pubblicato sulla rivistaImmunity and Ageing il
29 agosto 2014.
Lo studio.
Phillips e colleghi hanno
comparato l'effetto dello stress da lutto sul sistema immunitario di persone sane giovani e anziane.
Lo studio ha coinvolto: 41 giovani adulti di circa 32 anni, di cui 21 in lutto e 20 non in lutto; e 52 anziani di circa 72 anni, di cui 26 in lutto e 26 non in lutto.
I partecipanti hanno compilato questionari sulle proprie caratteristiche socio-demografiche e sui comportamenti di salute. Sono state prese in esame variabili psicosociali e risultati degli esami
clinici.
In particolare sono stati osservati: le funzioni dei neutrofili; la concentrazione nel sangue del cortisolo e
del Deidroepiandrosterone solfato o DHEA Solfato; il rapporto fra cortisolo:DHEA Solfato.
I ricercatori si sono avvalsi delle tecniche della statistica inferenziale ANOVA (analisi della varianza) e hanno confrontato i dati interni ai gruppi e fra i gruppi.
Le persone in lutto di
entrambi i gruppi di età hanno riportato maggiori sintomi di depressione e ansia rispetto ai gruppi di controllo.
Ciò nonostante i giovani partecipanti in lutto hanno mostrato una robusta funzione dei neutrofili e uguali livelli dell'ormone dello stress anche rispetto ai coetanei non in lutto.
Le persone più anziane in
lutto invece hanno evidenziato una chiara riduzione nella produzione di neutrofili, un aumento del cortisolo, una conseguente alterazionenell'equilibrio cortisolo:DHEAS e
una maggiore produzione di ROS che
causa uno stress ossidativo.
Questo si traduce in un effetto immunosopressivo con conseguenze in senso deteriore a carico del sistema immunitario e nervoso.
«...
dopo una perdita -
chiarisce la Phillips - possiamo
soffrire di una ridotta funzione dei neutrofili (...) essenziali a combattere infezioni e malattie, così noi diventano vulnerabili quando questo accade».
Gli effetti negativi dello stress da lutto sul sistema immunitario sono
quindi più gravi nelle persone anziane, che corrono maggiori rischi di contrarre infezioni o andare incontro a patologie, quali ad esempio infezioni, osteoporosi, diabete e gravi malattie
cardiovascolari.
I ricercatori giungono quindi alla conclusione che le persone più giovani non accusino gli stessi effetti dello stress sul sistema immunitario rispetto al quelle più anziane: «non
hanno mostrato alcun effetto dannoso del lutto sulla funzione dei neutrofili e sulla concentrazione dell'ormone dello stress».
Ammettono però che questo sia in parte dovuto al fatto che i giovani non sono soggetti a immuno-senescenza e che il declino nella produzione di DHEAS avvenga naturalmente con l'avanzare dell'età,
in particolare con l'andropausa.
Tuttavia ritengono che lo studio possa rivelarsi utile per progettare percorsi
anti-stress e
fornire il miglior
supporto possibile
alle persone più vulnerabili.
Anna Phillips ha aggiunto che, per aiutare le persone a lutto di fronte al rischio di stress, si potrebbe ricorre a integratori ormonali o prodotti analoghi, tuttavia questa non è l'unica
soluzione e non può sostituire il sostegno psicologico e la vicinanza di familiari e amici nel corso di un periodo di lutto.